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Frase di Thea Matera

Esiste un muto greto
dove la notte scompare
nel polverìo di un alambicco,
dove il campo di papaveri
disasconde la verbena,
in un tunnel di acanti
blu cobalto
dimergola al limine di guglie
il luminarsi di avite sale,
atticciate mute di cani
si rincorrono
lungo ossuti cinti silvestri,
coccole di nervati curri.
Mi persuade il brillìo
della gazania,
il serraglio dell'ipomea,
lo strale di aguzzi steli
come i tuoi gesti,
disegni sopra i vetri
di vasi azzurri d'acqua
un roseo cielo di conchiglia,
sfiori la parola e l'allontani...
ne mostri di schiena il filo
di frutti chiari, devoti volti,
il drappo di parole
imprestate alla ragione
l'inconosciuta soglia
della rima non ancora scritta.
Si rassomigliano fra loro,
ossimori, i parallelepipedi,
si sbiancano verdi pilastri d'ostriche;
la stevia si rigira nel soffio
della calura,
s'attrista nella cuòra
il piorno ventre di ovati bozzoli,
ermo grigio di acuti lobi.
Si fende l'arco del giunco
che dorme all'orizzonte,
raggiorna tra le pagine
di malacopie, di sonnolenti, smesse vertèbre di gargolle nello sfiato di filicorni,
sorgivi bronzi di rosignoli
fra dibarbate polle.

(ON THE STAIRCASE)

Inserita il 10/09/2022 alle ore 11:42

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Dove finisce la poesia non consumata, il verso non trattenuto -irrespirato cielo- la parola non compresa, l'incauta scritta in gromme di cemento; cosa rimane della poesia derisa, scostata, della poesia invenduta e le sue dune, dello scurato pregio nelle vene di pennate, nelle lamine di retinervie, di tutta questa poesia offerta in pasto alla sostanza indocile,
ad aride lagnanze.
Ne resta il disunito lembo di acrostici slogati in incompite cale, la digrumata stele, la spocchia decadente nel cincischìo di epigoni, nei baci di fiele disseminati sulle pagine di polvere di Poeti Scapigliati.
Come chiama il poeta il profumo e la sua rosa, il tedio di giunchi assolati nei lobi di rotonde, le fulve chele di una perduta stella?
Inizia in rime sciolte il pamphlet sur la revanche,
la luna non è lontana
ora che si discosta la marea sizigiale dai ceppi atterrati,
e la notte è una stanza di carta. Stornai nientificati equivoci di voci nel diacronico deflesso
che s'annida fra i pronomi,
ti dimenticai nei respiri di malmostose alghe,
in bisillabe disciolte nella mano dello scriba;
non fu chiarore di strade il verdito mento, il tizzo rosso della chiosa.
La festuglia del Fosco disarma
la grafia, per poco s'intuiva la sottile allegoria, si stranisce l'òmero nel colore delle gote, ricade sul davanzale il tempo e la sua storia.
Cosa rimarrà del verseggiato campo, del vùlture a perlustrare il giorno che rinasce alla poesia?


ABGRUND
(In fieri - La Pagina Bianca)

Inserita il 29/05/2022 alle ore 11:35

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