Jerry Calà | AforismiCitazioni.it

Io, in realtà, mi chiamo Calogero e quando all'appello arrivava il mio turno con Calà Calogero, tutti scoppiavano a ridere. Poi i compagni per simpatia cominciarono a chiamarmi Jerry anche perché facevo ridere come Jerry Lewis.

I miei film vanno ancora forte in tv. Lavoro come un matto. Per me è importante avere una sala sempre piena di gente da intrattenere e divertire.

A Verona ci rimasi circa sette anni. Lì incontrai Umberto Smaila e gli altri e formammo i Gatti di Vicolo Miracoli. A Verona nacque il sogno, ma che realizzai a Milano.

Sai perché ho ancora così tanto successo tra i ragazzi? perché a loro piace l'entusiasmo che c'era nei nostri film degli anni '80.

Ai miei tempi i locali notturni erano aperti tutti i giorni, oggi a Milano e Roma aprono solo il fine settimana.

Ero bombardato dai tormentoni televisivi e dagli spot: la gente, che subiva lo stesso bombardamento, si riconosceva nei miei tormentoni.

Per fortuna la maggior parte della gente mi vuole bene ma c'è qualcuno a cui non va giù che, nonostante non faccia più grandi film, sia ancora qui, che lavoro e ho anche molto successo.

La mia comicità è sempre stata ispirata dai media, dalla pubblicità e dai tipi che si incontravano di notte per strada a Milano

Quando all'appello arrivava il mio turno con “Calà Calogero”, tutti scoppiavano a ridere. Poi i compagni per simpatia cominciarono a chiamarmi Jerry anche perché facevo ridere come Jerry Lewis.

Non penso che i nostri film degli anni '80 abbiano fatto male ai ragazzi: noi infondevamo ottimismo. Oggi pare sia sbagliato anche essere ottimisti, ma io non faccio parte di questa generazione disfattista.

In certi ambienti se non ti vedono tutti i giorni pensano che tu sia morto. Video ergo sum, dicono.

Girava questa leggenda: Silvio Berlusconi si faceva consegnare tutte le cassette delle registrazioni per farle vedere alla figlia Marina, che allora era una bambina: se piaceva a lei andavano in onda. Eravamo tutti terrorizzati da questa bambina. Le cose dei Gatti devono esserle piaciute, per fortuna.

Si pensa che l'attore sia padrone della sua carriera ma non è così: dipende anche da quello che ti offrono.

Noi comici, quando siamo bravi, siamo bravi davvero nei ruoli drammatici.

La mia soddisfazione l'ho avuta: a Berlino un signore mi ferma e mi dice: "Un giorno potrai raccontare a tuo figlio di aver fatto un film così" [Alla presentazione alla Berlinale del film Diario di un vizio, di Marco Ferreri, in cui Calà recitò una parte drammatica]. Poi il signore mi stringe la mano e dice: "Piacere, Wim Wenders". Quando mio figlio avrà un'età in cui saprà chi è Wim Wenders glielo dirò.

Ci sono poche cose che oggi mi farebbero dire "Libidine!". C'è poca libidine in questo periodo, ma la cosa triste è che c'è poca voglia di libidine.

Dopo l'incidente [nel 1994 si ruppe entrambe le gambe] ho visto in faccia la morte e ho cominciato a vivere per me, non per la gloria.

Degli anni '80 manca l'entusiasmo che aleggiava nell'aria. Erano gli anni del rischio: anni in cui ci si buttava in imprese folli. Gli yuppies erano dei cazzoni, ma avevano voglia di fare. Io negli anni Ottanta recitavo in "Vado a vivere da solo": c' era voglia di affrancarsi. Oggi i ragazzi sono troppo protetti. Le famiglie sono ingombranti.

Ai miei tempi riuscivo a capire chi faceva uso di cocaina: mi accorgevo se davanti al bagno c'era la fila per tirare, e infatti il ceto era alto, era una droga elitaria. Oggi, da quello che mi raccontano, ne fanno uso anche gli impiegati.